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Si stima che una percentuale circa del 15% fra adolescenti e giovani adulti attui volontariamente  su di se comportamenti autolesivi. In questo articolo spiego cosa è e perché si mette in atto questo comportamento. 

Con il termine “autolesionismo” si intende l’atto con il quale viene inflitto un danno al proprio corpo in maniera autonoma, senza intento suicidarlo e per scopi non socialmente accettati. Rientrano all’interno dell’autolesionismo tutti quei comportamenti deliberatamente orientati al provocarsi dolore fisico. Fra i comportamenti auto lesivi più comuni troviamo il tagliarsi la pelle con diversi tipi di oggetti affilati, l’infliggersi bruciature e marchiarsi con sigarette o oggetti roventi.

Caratteristiche dell’autolesionismo

Nell’ultima versione del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-5, 2013) vi è una categoria diagnostica specifica per indicare l“autolesionismo non suicidario”. Lo definisce come una serie di atti intenzionalmente autolesivi nei confronti del proprio corpo condotti per almeno cinque giorni nell’ultimo anno.

Di particolare rilevanza sono le aspettative che portano a mettere in atto la condotta auto lesiva, fra le quali troviamo:  

  • ottenere sollievo da una sensazione/stato cognitivo negativo;
  • risolvere una situazione relazionale;
  • indurre una sensazione positiva.

Inoltre, il comportamento autolesivo deve provocare disagio significativo e deve essere associato ad almeno uno dei seguenti sintomi:

  • difficoltà interpersonali;
  • preoccupazione incontrollabile per il gesto;
  • frequenti pensieri autolesivi.

Riassumendo, è autolesionista chi danneggia intenzionalmente da solo il proprio corpo (ad esempio attraverso tagli e bruciature) senza arrivare ad uccidersi e ferendosi cerca sollievo ad una propria difficoltà personale e sentimento negativo

Perché ci si ferisce volontariamente?

Lo scopo principale di ferirsi volontariamente è quello di trasformare in sofferenza fisica (più reale e facile da gestire) una sofferenza emotiva (interiore, che non si sa come gestire). Inoltre, un altro aspetto importante è che il dolore fisico distoglie l’attenzione dal dolore emotivo e quindi diventa, nel tempo, una modalità di gestione dei propri stati emotivi negativi. Un altro motivo per cui  ci si ferisce è per “sentire qualcosa”: spesso, infatti,  le persone che si infliggono dolore lo fanno per uscire da uno stato di vuoto interiore, che non si sanno spiegare. Oppure chi si ferisce lo fa per punirsi, o per comunicare agli altri il proprio disagio (la ferita è la materializzazione della sofferenza).  Chi lo fa, in qualche modo ritiene o spera di provare sollievo, di stare meglio dopo essersi ferito.

Qual è l’identikit di chi si taglia?

Si stima che oltre il 15% degli adolescenti e dei giovani adulti ed il 6% della popolazione adulta pratichi regolarmente comportamenti auto lesivi. Questo comportamento è maggiormente diffuso nella popolazione psichiatrica, specialmente in coloro che hanno diagnosi di  disturbo  di personalità borderline, ma può comparire anche in pazienti affetti da disturbi d’ansia, depressione, disturbi del comportamento alimentare o altri disturbi di personalità.

Sebbene l’autolesionismo sia diffuso soprattutto nelle persone con disturbi psichiatrici, recentemente si è visto che caratterizza anche soggetti apparentemente sani, senza una diagnosi di disturbo mentale. 

Ad esempio, una recente ricerca italiana (Sarno et al., 2020) ha mostrato come su un campione di 578 studenti universitari di Milano (83% femmine e 17% maschi) e 219 delle scuole superiori di Parma (70% femmine e 30% maschi) ben uno studente su cinque ha riconosciuto di essersi almeno una volta auto-ferito.

Come si cura l’autolesionismo?

Uno degli approcci più efficaci è la terapia cognitivo-comportamentale che aiuta a prevenire e ridurre i sintomi autolesivi, ad affrontare lo stress e i pensieri negativi, affiancando alla componente di cambiamento e ristrutturazione cognitiva una dimensione di accettazione e poter sviluppare una serie di abilità e competenze per gestire le relazioni e la tolleranza allo stress.

Aspetto focale della terapia cognitivo-comportamentale è quello di porre l’attenzione non solo agli aspetti irrazionali e cognitivi dei pensieri negativi che precedono l’atto autolesivo, ma anche di aspetti più comportamentali, in modo da aiutare le persone ad affrontare gli stress che si associano all’autolesionismo.

Un altro apsetto emerso molto utile è quello di coltivare le emozioni positive,  che  aiutare a creare una persona  ad  affrontare meglio gli eventi avversi futuri. Guidate da emozioni positive le persone formulano un repertorio più ampio di soluzioni ai problemi

Riferimenti utili

Sarno, I., Madeddu, F., & Gratz, K. L. (2020). Self-injury, psychiatric symptoms, and defense mechanisms: Findings in an Italian nonclinical sample. European Psychiatry25(3), 136-145.